mercoledì 6 gennaio 2010

Trasloco

Informiamo i gentili lettori che Asterischi si sposta finalmente su www.asterischi.com
Lieti di avervi ancora con noi e speranzosi nel vostro progressivo aumento, vi salutiamo affettuosamente.

martedì 5 gennaio 2010

Buon Compleanno Peppino Impastato (05/01/1948)


«Nubi di fiato rappreso
s'addensano sugli occhi
in uno stanco scorrere
di ombre e di ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo.»

«Oggi Peppino doveva tenere il suo primo comizio..ma non ci sarà nessun comizio...Peppino non c'è più…Peppino è morto...si è suicidato...Non sorprendetevi perchè le cose sono andate veramente così...lo dicono i carabinieri, lo dice il magistrato..hanno trovato un biglietto "Voglio abbandonare la vita e la politica", ecco, questa sarebbe la prova del suicidio...una dimostrazione...e lui per abbandonare la vita e la politica che cosa fa? Va in una ferrovia, comincia a sbattere la testa contro un sasso, comincia a sporcare di sangue tutto intorno, poi si fascia il corpo con il tritolo e salta in aria sui binari: suicidio. Come l'anarchico Pinelli che vola dalle finestre della questura di Milano, oppure come l'editore Feltrinelli che salta in aria sui tralicci dell'Enel, tutti suicidi. Questo leggerete domani sui giornali. Questo vedrete alla televisione. Anzi, non leggerete proprio niente. Perchè domani stampa e televisione daranno un caso importante: il ritrovamento a Roma dell'onorevole Aldo Moro, ammazzato come un cane dalle brigate rosse, e questa è una notizia che naturalm ente fa impallidire tutto il resto, ma chi se ne frega del piccolo sicliano di provincia? Chi se ne fotte di questo Peppino Impastato? Adesso fate una cosa: spegnetela questa radio, vltatevi pure dall'altra parte, tanto si sa come vanno a finire queste cose, si sa che niente può cambiare, voi avete dalla vostra la forza del buon senso, quella che non aveva Peppino. Domani ci saranno i funerali, voi non andateci. Lasciamolo solo. E diciamolo una volta per tutte, che noi siciliani la mafia la vogliamo, ma no perchè ci fa paura, perchè ci da sicurezza, pechè ci identifica, perchè ci piace...noi siamo la mafia, e tu Peppino non sei stato altro che un pvero illuso...tu sei stato un ingenuo, un nuddu mmiscatu ccu niente. »

«Fresco era il mattino
e odoroso di crisantemi.
Ricordo soltanto il suo viso
violaceo e fisso nel vuoto,
il singhiozzo della campana
e una voce amica:
"è andato in paradiso
a giocare con gli angeli,
tornerà presto
e giocherà a lungo con te".»

«Mio padre è solo un mafioso, uno dei tanti. Mio padre, la mia famiglia, il mio paese! Io voglio fottermene! Io voglio dire che la mafia è una montagna di merda! Io voglio urlare che mio padre è un leccaculo! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!»

http://www.peppinoimpastato.com/poesiedipeppino.htm

Nota:
“è nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio, neglio occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di giustizia chelo portò a lottare, aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell’ambiente da lui poco onorato, si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un ideale ti porterà dolore”
I cento passi – Modena City Ramblers
Conduttore radiofonico, figlio di padre mafioso, Giuseppe Impastato venne assassinato dalla stessa cosca palermitana alla quale apparteneva la famiglia. Da giovane abbandona i genitori per aderire al partito socialista e denuciare, attraverso i programmi radio da lui stesso ideati, la mafia e i suoi precursori. I resti del suo corpo ricoperto di tritolo furono ritrovati sui binari la notte dell’8 Maggio 1978. Una lettera ritrovata dalla polizia in cui Peppino scriveva di voler abbandonare la vita e la politica, spinse la procura a pensare che si trattasse di suicidio. Solo nel 2006, la magistratura attribuì le cause della scomparsa di Peppino alla confraternita mafiosa di Gaetano Badalamenti, suo parente.
(mc)

Buon Compleanno Umberto Eco (05/01/1932)


"Le macchine sono effetto dell'arte, che è scimmia della natura, e di essa riproducono non le forme ma la stessa operazione"

"Corpi e membra abitati dallo Spirito, illuminati dalla rivelazione, sconvolti i volti dallo stupore, esaltati gli sguardi dall’entusiasmo, infiammate le gote dall’amore, dilatate le pupille dalla beatitudine, folgorato l’uno da una dilettosa costernazione, trafitto l’altro da un costernato diletto, chi trasfigurato dalla meraviglia, chi ringiovanito dal gaudio, eccoli tutti cantare con l’espressione dei visi, col panneggio delle tuniche, col piglio e la tensione degli arti, un cantico nuovo, le labbra semiaperte in un sorriso di lode perenne. E sotto i piedi dei vegliardi, e inarcati sopra di essi e sopra il trono e sopra il gruppo tetramorfo, disposti in bande simmetriche, a fatica distinguibili l’uno dall’altro tanto la sapienza dell’arte li aveva resi tutti mutuamente proporzionati, uguali nella varietà e variegati nell’unita, unici nella diversità e diversi nella loro atta coadunazione, in mirabile congruenza delle parti con dilettevole soavità di tinte, miracolo di consonanza e concordia di voci tra se dissimili, compagine disposta a modo delle corde della cetra, consenziente e cospirante continuata cognazione per profonda e interna forza atta a operare l’univoco nel gioco stesso alterno degli equivoci, ornato e collazione di creature irreducibili a vicenda e a vicenda ridotte, opera di amorosa connessione retta da una regola celeste e mondana a un tempo (vincolo e stabile nesso di pace, amore, virtù, regime, potestà, ordine, origine, vita, luce, splendore, specie e figura), equalità numerosa risplendente per il rilucere della forma sopra le parti proporzionate della materia — ecco che si intrecciavano tutti i fiori e le foglie e i viticci e i cespi e i corimbi di tutte le erbe di cui si adornano i giardini della terra e del cielo, la viola, il citiso, la serpilla, il giglio, il ligustro, il narciso, la colocasia, l’acanto, il malobatro, la mirra e gli opobalsami."


"Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa biblioteca è nata forse per salvare i libri che contiene, ma ora vive per seppellirli. Per questo è diventata fomite di empietà."

"...benché certamente il primo uomo fosse stato così accorto da chiamare ogni cosa e animale secondo la sua natura, ciò non toglie che egli non esercitasse una sorte di diritto sovrano nell'immaginare il nome che a suo giudizio meglio corrispondesse a quella natura. Perché infatti è ormai noto che diversi sono i nomi, che gli uomini impongono per designare i concetti, e uguali per tutti sono solo i concetti, segni delle cose. Così che certamente viene la parola nomen da nomos, ovvero legge, dato che appunto i nomina vengono dati dagli uomini ad placitum, e cioè per libera e collettiva convenzione."


stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

(da Il nome della rosa)


"Ma gavte la nata" [...] "E' torinese. Significa levati il tappo, ovvero, se preferisci, voglia ella levarsi il tappo. In presenza di persona altezzosa e impettita, la si suppone enfiata dalla propria immodestia, e parimenti si suppone che tale smodata autoconsiderazione tenga in vita il corpo dilatato solo in virtù di un tappo che, infilato nello sfintere, impedisca che tutta quella aerostatica dignità si dissolva, talché, invitando il soggetto a togliersi esso turacciolo, lo si condanna a perseguire il proprio irreversibile afflosciamento, non di rado accompagnato da sibilo acutissimo e riduzione del superstite involucro esterno a povera cosa, scarna immagine ed esangue fantasma della prisca maestà".

"O basta là." Solo un piemontese può capire l'animo con cui si pronuncia questa espressione di educata stupefazione. Nessuno dei suoi equivalenti in altra lingua o dialetto (non mi dica, dis donc, are you kidding?) può rendere il sovrano senso di disinteresse, il fatalismo con cui essa riconferma l'indefettibile persuasione che gli altri siano, e irrimediabilmente, figli di una divinità maldestra.

Popolare il mondo di figli che andranno sotto un altro nome, e nessuno saprà che sono tuoi. Come essere Dio in borghese. Tu sei Dio, giri per la città, senti la gente che parla di te, e Dio qua e Dio là, e che mirabile universo è questo, e che eleganza la gravitazione universale, e tu sorridi sotto i baffi (bisogna girare con una barba finta, oppure no, senza barba, perché dalla barba Dio lo riconosci subito), e dici fra te e te (il solipsismo di Dio è drammatico): "Ecco, questo sono io e loro non lo sanno." E qualcuno ti urta per strada, magari ti insulta, e tu umile dici scusi, e via, tanto sei Dio e se tu volessi, uno schiocco di dita, e il mondo sarebbe cenere. Ma tu sei così infinitamente potente da permetterti di esser buono...


(da Il pendolo di Foucault)



Cosa è il leghismo se non la storia di un movimento che non legge? (se la Lega ignora il romanzo italiano, la Repubblica, 6 marzo 2009)

L'ambiguità delle nostre lingue, la naturale imperfezione dei nostri idiomi, non rappresentano il morbo postbabelico dal quale l'umanità deve guarire, bensì la sola opportunità che Dio aveva dato ad Adamo, l'animale parlante. Capire i linguaggi umani, imperfetti e capaci nello stesso tempo di realizzare quella suprema imperfezione che chiamiamo poesia, rappresenta l'unica conclusione di ogni ricerca della perfezione. (da A portrait of the artist as a bachelor, in Sulla letteratura)

Ma poi mi rendo conto che il problema della stupidità ha la stessa valenza metafisica del problema del Male, anzi di più: perché si può persino pensare (gnosticamente) che il male si annidi come possibilità rimossa del seno stesso della Divinità; ma la Divinità non può ospitare e concepire la Stupidità, e pertanto la sola presenza degli stupidi nel Cosmo potrebbe testimoniare della Morte di Dio. (da L'espresso, 20 luglio 2006, n. 28 anno LII)

I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare. (da Come si fa una tesi di laurea)

L'Italia è uno di quei paesi in cui non si è obbligati a entrare in un cinema all'inizio dello spettacolo, ma ci si può entrare in qualsiasi momento, e poi riprendere dall'inizio. La giudico una buona abitudine perché ritengo che un film sia come la vita: io nella vita sono entrato quando i miei genitori erano già nati e Omero aveva già scritto l'Odissea, poi ho cercato di ricostruire la fabula all'indietro, come ho fatto per Sylvie, e bene o male ho capito che cosa era accaduto nel mondo prima della mia entrata. E così mi pare giusto fare coi film. (da Sei passeggiate nei boschi narrativi)

Nota:
Umberto Eco è una delle più grandi personalità intellettuali italiane - e internazionali: critico, scrittore, saggista, semiologo, filologo, linguista, la sua produzione abbraccia ogni campo.
Pur dedicandosi ad argomenti e studi disparati, non ha mai abbandonato la sua prima passione, la filosofia e la cultura medievale (la sua tesi di laurea fu per l'appunto "Il problema estetico in San Tommaso").
Nel 1981 vinse il Premio Strega con il suo primo romanzo, "Il Nome della Rosa", che ebbe rilievo a livello internazionale.
Ha collaborato con numerosi giornali italiani, in particolare con "L'espresso", su cui tiene una rubrica quindicinale, "La bustina di Minerva".
Ha ricevuto 37 lauree honoris causa da università europee e americane. Oggi insegna all'Università di Bologna ed è presidente della Scuola Superiore di Studi Umanistici della stessa.

(ag)

lunedì 4 gennaio 2010

Buon Compleanno Jacob Grimm (04/01/1785)



Il figlio ingrato

Un uomo e una donna se ne stavano seduti dinanzi all'uscio di casa; avevano davanti un pollo arrosto e volevano mangiarlo insieme. Ma l'uomo vide avvicinarsi il suo vecchio padre e, svelto, prese il pollo e lo nascose, perché‚ non voleva dargliene. Il vecchio venne, bevve un sorso e se ne andò. Il figlio volle riportare in tavola il pollo arrosto, ma quando fece per prenderlo, il pollo era diventato un grosso rospo, che gli saltò in faccia, vi si attaccò e non si mosse più; e se qualcuno voleva toglierlo, il rospo lo guardava invelenito, come se volesse saltare in faccia anche a lui, sicché‚ nessuno osava toccarlo. E il figlio ingrato dovette nutrire quel rospo tutti i giorni, altrimenti gli mangiava la faccia. E così egli andò errando per il mondo.

La volpe e le oche

Un giorno una volpe capitò in un prato dove si trovava un branco di oche belle grasse, e ridendo disse: “Arrivo proprio a proposito: ve ne state qui tutte insieme, così posso divorarvi una dopo l'altra.” Le oche si misero a starnazzare, saltarono su e incominciarono a lamentarsi e a chiedere grazia. Ma la volpe disse: “Nessuna pietà, dovete morire.” Finalmente una delle oche si fece coraggio e disse: “Se dobbiamo proprio perdere la nostra giovane vita, concedici almeno una grazia: permettici di dire una preghiera, perché‚ non moriamo nel peccato; poi ci metteremo in fila perché‚ tu possa sceglierti via via la più grassa.” – “Sì,” rispose la volpe, “è ben poca cosa ed è un desiderio pio: pregate, io aspetterò.” Allora la prima incominciò una preghiera ben lunga: “Qua, qua!” E siccome non la voleva smettere, la seconda non aspettò il suo turno, e anche lei incominciò: “Qua, qua!”
(Quando tutte avranno finito di pregare, continueremo la storia, ma, per adesso, pregano ancora.)

Knoist e i suoi tre figli

Tra Werrel e Soist abitava un uomo che si chiamava Knoist, e aveva tre figli: uno era cieco, l'altro zoppo e il terzo tutto nudo. Un giorno andarono per i campi e videro una lepre. Il cieco le sparò, lo zoppo la prese e quello nudo la mise in tasca. Poi giunsero in riva a un gran fiume e videro tre navicelle una correva, l'altra colava a picco e la terza non aveva il fondo. Salirono tutt'e tre in quella senza fondo e giunsero a un gran bosco, dove c'era un grande albero, e nell'albero c'era una gran cappella, e nella cappella c'era un sagrestano di carpine e un prete di bossolo che davano l'acqua santa a suon di bastonate. Felice è l'uom che campa, facendo a meno dell'acqua santa!

La ragazza di Brakel

Una ragazza di Brakel andò una volta alla cappella di sant'Anna sotto il castello dei giganti e, siccome desiderava tanto maritarsi, e credeva che nella cappella non ci fosse nessuno, si mise a cantare:-Oh sant'Anna ognor venerata, fa' che in breve io sia maritata! Sai cosa voglio io: il mio vicino di bell'aspetto è proprio il mio diletto!-Ma dietro l'altare c'era il sagrestano, che sentì tutto e si mise a gridare con voce terribile: -Non l'avrai! Non l'avrai!-. Ma la fanciulla pensò che, a gridare, fosse stata Maria Bambina, che stava accanto a sua madre. Allora andò in collera e gridò: -Perepepè, brutta pettegolina, chiudi il becco e lascia parlare la mamma!-.

Da Fiabe

Nota:
I fratelli Grimm sono celebri per aver raccolto ed elaborato moltissime fiabe della tradizione tedesca; l'idea fu di Jacob, professore di lettere e bibliotecario. Le loro storie non erano concepite per i bambini; oggi, molte delle loro fiabe sono ricordate soprattutto in una forma edulcorata e depurata dei particolari più cruenti, che risale alle traduzioni inglesi della settima edizione delle loro raccolte (1857). Le storie dei fratelli Grimm hanno spesso un'ambientazione oscura e tenebrosa, fatta di fitte foreste popolate da streghe, goblin, troll e lupi in cui accadono terribili fatti di sangue, così come voleva la tradizione popolare tipica tedesca. L'unica opera di depurazione che sembra essere stata messa consapevolmente in atto dai Grimm riguarda i contenuti sessualmente espliciti, piuttosto comuni nelle fiabe del tempo e ampiamente ridimensionati nella narrazione dei fratelli tedeschi. Jacob Grimm è anche famoso in linguistica per aver formulato la legge di Grimm sui mutamenti di suono nelle lingue germaniche rispetto all'indoeuropeo.

(as)

domenica 3 gennaio 2010

Buon Compleanno Marco Tullio Cicerone (03/01/106 a.C.)




«Infatti, che cos’altro noi facciamo quando dal piacere, cioè dal corpo, dalla cura dei beni materiali che sono strumento e servizio del corpo, dalle occupazioni della vita pubblica, da ogni impegno, stacchiamo l’animo, che cosa, dico, allora facciamo, se non richiamare l’animo alla propria interiorità e lo costringiamo a stare con se stesso, e lo traiamo via il più possibile dal corpo? D’altro canto staccare l’animo che cosa altro mai è se non imparare a morire?»

Da Tusculanae disputationes, I, 31,75; a cura di Giulia Colomba Sannia

«Quindi (il potere) o deve essere dato a uno solo, o ad alcuni uomini scelti, o deve essere assunto dalla massa e da tutti. Perciò, quando il sommo potere è nelle mani di uno solo, chiamiamo re quello solo, e regno quella forma di governo. Quando, invece, è nelle mani di cittadini scelti, allora si dice che quella città è governata dal potere degli aristocratici. È, invece, la democrazia – così, infatti, la chiamano – quella in cui tutti i poteri sono del popolo. E qualsiasi di questi tre generi, anche se conservasse quel vincolo che all’inizio ha stretto tra loro gli uomini in società politica, non sarebbe stato perfetto certo, né, a mio parere, ottimo, ma solo tollerabile, tanto che uno potrebbe essere superiore all’altro. Infatti, sia (che governi) un re saggio, sia i cittadini scelti e riguardevoli, sia lo stesso popolo, benché questo sia il meno apprezzabile, comunque, se non intervengono iniquità e cupidigia, sembra possibile una certa stabilità. Ma, anche nei regimi monarchici, troppo esclusi sono gli altri dalle leggi e dalle decisioni, e nel dominio degli ottimati la massa può essere appena partecipe della libertà, dal momento che manca di potere deliberante comune, e quando tutte le decisioni sono prese da parte del popolo, quanto si voglia giusto e moderato, è proprio la stessa uguaglianza iniqua, dal momento che non implica alcuna gerarchia di potere. »

Dal De Republica I, 26,27; a cura di Giulia Colomba Sannia

«Quale canto puoi trovare più dolce di un armonioso discorso? Quale carme più tornito di un periodo ben congegnato? Quale attore è più piacevole, nell’imitare un caso reale, di quanto lo sia un oratore nel difenderlo? Che cosa c’è di più spiritoso di una serie di arguti pensieri? Che cosa c’è di più ammirevole di un argomento esposto con uno splendido linguaggio? Che cosa c’è di più completo di un discorso ricolmo dei più svariati concetti?... »

Dal De oratore, II, 34; trad. G. Norcio

«Come, se un membro del nostro corpo pensasse di poter essere sano e forte sottraendo per sé il vigore del membro vicino, necessariamente tutto il corpo si indebolirebbe e perirebbe, così, se ciascuno di noi si appropriasse dei beni altrui e carpisse a chiunque gli fosse possibile per il proprio vantaggio, inevitabilmente la società umana verrebbe annientata. Infatti, è consentito alla natura che ciascun essere umano preferisca procurar per sé anziché per altri quanto serve ai bisogni della vita, ma la natura non tollera assolutamente che noi accresciamo i nostri averi, agi e potenza con le spoglie degli altri.»

Dal De officiis, III, 22; a cura di Paolo Fedeli

Nota:

«Impegnato attivamente nella vita politica, fu il maggior oratore del suo tempo; se, fino ad allora, gloria e prestigio erano stati esclusivo appannaggio delle alte cariche militari, Cicerone invece li ottenne grazie alla sua abilità oratoria, che gli consentì di stabilire importanti legami con persone potenti che lo appoggiarono nell’ascesa politica.» (Davide Monda, Natascia Paggetti, Tania Vannini)

(as)

Buon Compleanno John Ronald Reuel Tolkien (3/01/1892)




La poesia dell'Anello

Tre Anelli ai Re degli Elfi sotto il cielo che risplende,
Sette ai Principi dei Nani nelle lor rocche di pietra,
Nove agli Uomini Mortali che la triste morte attende,
Uno per l'Oscuro Sire chiuso nella reggia tetra
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra nera scende.
Un Anello per domarli, Un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l'Ombra cupa scende.

«Fra i servi del Nemico che hanno nomi, il massimo era lo spirito che gli Eldar chiamavano Sauron, ovvero Gorthaur il Crudele, che in origine era dei Maiar di Aulë e che continuò ad avere grande parte nella tradizione di quel popolo.
In tutte le trame di Melkor, il Morgoth in Arda, in tutte le sue diramate opere e negli intrighi della sua malizia, Sauron aveva parte, ed era meno perfido del suo padrone solo in quanto a lungo aveva servito un altro anziché se stesso.
Ma in tardi anni si levò, simile ad ombra di Morgoth, e lo seguì passo passo, lungo il rovinoso sentiero che lo trasse giù nel Vuoto.»


Il Silmarillion, a cura di C. Tolkien e M. Respinti, traduzione di F. Saba Sardi


Nota:

L’opera tolkeniana, davvero monumentale nella sua sterminata produzione, riflette il gusto dotto e ricercato di questo straordinario professore dell’Università di Oxford, considerato uno dei più grandi studiosi di lingua anglosassone. Questa sua particolare predisposizione, fu anche filologo e linguista, lo rese uno straordinario glottoteta al punto che sulle sue lingue artificiali meticolosamente create, esistono ad oggi numerosi studi. La straordinaria fama dell’inglese si deve soprattutto alla celebre epopea de The Lord of Rings, che attraverso il cinema, la trilogia diretta da Peter Jackson, ha raggiunto il grande pubblico. Non si contano i riferimenti che quest’opera può vantare nella letteratura fantasy in generale, ma anche nella musica e nelle altre arti. Il nome dell’illustre autore inglese è stato spesso accostato ad un vulgata politica che ne ha voluto in qualche maniera esaltare alcuni aspetti. Proprio il lavoro di Elémire Zolla, che reinterpretò la saga tolkeniana in chiave neofascista, divenne un punto di riferimento per la nuova generazione di missini, che nel 1977, nell’ottica della Nuova Destra dell’intellettuale francese Alain De Benoist, ripreso in Italia da Marco Tarchi, fondarono i Campi Hobbit come luogo di aggregazione giovanile, che tante polemiche portò nel fronte missino dell’epoca. In realtà le posizioni politiche di Tolkien, vagamente rintracciabili nel vasto corpus delle sue lettere, sono improntate su un generale conservatorismo, e nella condanna più spietata di Hitler, Stalin, e soprattutto della guerra in generale.


«Nelle sue opere si intrecciano spesso citazioni colte a pure invenzioni, dando l’impressione però che gli elementi provengano tutti dalla stessa fonte: epica, mitologia e fiabe. Una delle opere che maggiormente ispirarono Tolkien fu il Beowulf, non solo in diversi parallelismi nella trama de The Hobbit, come per esempio il furto di una coppa dal tesoro del drago, ma anche in similitudini fra alcuni personaggi e situazioni ne The Lord of the Rings. Nelle parole di Hama, una delle guardie del palazzo di Theoden re di Rohan, riecheggiano quelle del guardacoste danese che accoglie Beowulf nei versi 287-88, e in tutta la terra di Rohan riscontriamo forti somiglianze con i costumi anglosassoni, nei nomi e nella lingua (a volte vero e proprio anglosassone), ma anche nelle descrizioni dell’abbigliamento bellico e dei fregi del palazzo.»


Federico Olivares, La tipologia dell’eroe ne “The Lord of Rings” di J.R.R. Tolkien, tesi di laurea

«Dall'Opera tutta di Tolkien emerge possente l'affermazione di una dei diritti fondamentali dell'uomo: il diritto a creare. "La fantasia Rimane un diritto umano – scrive l'autore – creiamo alla nostra misura e nel nostro modo derivativo perché siamo stati creati: e non soltanto creati, ma fatti a immagine e somiglianza del Creatore".»

Mario Polia

«Il Signore degli Anelli è fondamentalmente un'opera religiosa e cattolica; all'inizio non ne ero consapevole, lo sono diventato durante la correzione. Questo spiega perché non ho inserito, anzi ho tagliato, praticamente qualsiasi allusione a cose tipo la "religione", oppure culti e pratiche, nel mio mondo immaginario. Perché l'elemento religioso è radicato nella storia e nel simbolismo. Tuttavia detto così suona molto grossolano e più presuntuoso di quanto non sia in realtà. Perché a dir la verità io consciamente ho programmato molto poco: e dovrei essere sommamente grato per essere stato allevato (da quando avevo otto anni) in una fede che mi ha nutrito e mi ha insegnato tutto quel poco che so.»

(lettera al padre gesuita Robert Murray)
JRR Tolkien


(rrb)

sabato 2 gennaio 2010

Buon Compleanno Isaac Asimov (02/01/1920)


«Qualcuno disse che Hari Seldon lasciò questa vita proprio come l'aveva vissuta, perché morì con il futuro che aveva creato completamente schiuso di fronte a sé...»


da Fondazione anno zero, traduzione di Gianni Montanari


Le tre leggi della robotica


Prima Legge:
Un robot non può recare danno agli esseri Umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri Umani ricevano danno.

Seconda Legge:
Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri Umani, a meno che ciò non contrasti con la Prima Legge.

Terza Legge:
Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, a meno che ciò non contrasti con la Prima o la Seconda Legge.

Legge zero:
Un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, l'umanità riceva danno.


[formulata da R. Daneel Olivaw e da R.Giskard Reventlov e applicata per la prima volta da quest'ultimo - primo robot mentalico - al termine del romanzo "I robot e l'Impero". Ne deriva una coerente modifica della Prima legge: "Un robot non può recare danno agli esseri Umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri Umani ricevano danno, a meno che ciò non contrasti con la legge zero"]

«Due minuti prima di scomparire dal mondo che conosceva, Joseph Schwartz passeggiava per le piacevoli strade dei sobborghi di Chicago recitando dei versi di Browning.
In un certo senso era strano, perché Schwartz sarebbe difficilmente passato, agli occhi della gente, per il tipo che recita i classici a memoria. Sembrava esattamente quello che era: un sarto in pensione privo di ciò che oggi si definisce, con linguaggio sofisticato, un'"educazione formale", ma che aveva soddisfatto la naturale curiosità del suo carattere con abbondanti letture a caso. Grazie a un'indiscriminata voracità si era dato una verniciata in tutti i settori dello scibile, e aiutato da una memoria fuori dal comune era riuscito a tenere in testa tutto quanto.»

Paria dei cieli, traduzione di Giuseppe Lippi

Nota:

Come scrivere oltre 500 volumi e non sentirli per parafrasare proprio uno degli scritti asimoviani, rappresenta il senso e il rispetto che della scrittura e della scienza ebbe questo autore di fantascienza e divulgatore scientifico di origine russa. Impossibile stare ad elencare la sterminata produzione che spazia dai celebri cicli fantascientifici, Fondazione in primis, fino al mistery coi deliziosi racconti dei Vedovi Neri. Un noto critico italiano amava dire che si può cominciare a leggere fantascienza partendo da Ray Bradbury o da Isaac Asimov, come una sorta di scelta aprioristica su cui basare la propria chiave di lettura: letteraria o umanista nel primo caso, tecnologica nel secondo. In realtà Asimov, pur non raggiungendo le alte vette letterarie di altri autori che dalla fantascienza avevano cominciato come Kurt Vonnegut e James Ballard, riuscì in maniera elegante e con l’attendibilità scientifica propria dello studioso a inserire tematiche sociologiche (Notturno è considerata l’opera che inaugura la social science fiction) nell’hard science fiction. Fervente sostenitore del Partito Democratico supportò molte battaglie civili del suo tempo.


«La mia è una famiglia di immigranti che da un piccolo villaggio in Russia si trasferì a New York negli anni venti. Abitavamo a Brooklyn e i miei genitori gestivano un modesto emporio nel quale ho spesso lavorato durante l’infanzia. Mio padre pensava che il genere di pubblicazioni vendute, per lo più stampa popolare, fossero “spazzatura” e così non mi permetteva di leggerle. Ma tra tutte la fantascienza faceva eccezione. Mio padre, vede non parlava o leggeva molto bene l’inglese per cui sono sicuro che per lui la “fantascienza” avesse qualcosa a che vedere con la scienza e che dunque potesse essere una buona lettura per me.
Così a nove anni cominciai a leggere fantascienza e successivamente ne diventai così appassionato che raggiunti i diciassette anni cominciai a scriverne per conto mio. I miei primi lavori furono respinti dagli editori ma, dopo parecchi mesi di tentativi riuscii a vendere i miei primi racconti.
Non mi immaginavo che uno potesse guadagnarsi da vivere scrivendo fantascienza, perciò nel frattempo finii le scuole superiori, mi iscrissi all’università alla facoltà di biochimica e così alla fine diventai anche un vero scienziato.
Mi sono anche sposato, ho avuto due figli, ho fatto il servizio militare e tutto senza mai smettere di scrivere fantascienza.»

Tratto da www.isaacasimov.it - (Isaac Asimov, Scienza, Tecnologia… e Spazio! (Pat Stone, da “Mother Earth News” n.65 sett/ott 1980) Liberamente tradotto ed adattato da Andrea Ghilardi su permesso dell’editore – luglio 2006)

(rrb)

venerdì 1 gennaio 2010

Buon Compleanno Federigo Tozzi (01/01/1883)


«Ecco la sera, quando le cose della stanza doventano pugnali che affondano nella mia anima; maniche che mi attendono. Qualche altra volta mi erano sembrate – libri, tavoli, sedie, tagliacarte, cuscini, lampade, pareti – poemi immensi. Mai, in nessun modo, sono riescito ad essere indipendente dinanzi a loro. »

«Ma Giulio era restato come ebbro; e aveva una specie di gaudio amaro. Dentro di lui sentiva moversi come una quantità di cose parassite e malvagie; che volevano prendere il sopravvento. I suoi stati di coscienza si erano solidificati l'uno vicino all'altro, ma irriducibilmente; ed egli tentava in vano di metterli d'accordo e di spiegarli con un solo mezzo. Non si sentiva più libero e comprendeva che la coscienza quotidiana si era inspirata non ai suoi sentimenti, sempre mobili, ma a certe invariabilità; alle quali, forse, quei sentimenti si erano sempre attaccati. Ora, anche il desiderio di morire era invariabile. Non gli parve necessario rivedere quelli della sua famiglia; perché credeva che dovesse restare più solo che fosse possibile; come un dovere. Egli, in quel momento, non poteva avere più nessun affetto per loro; e, quando fu alla libreria, ne aprì la porta come se andasse a conoscere la realtà del suo sentimento.[...] e, dal cassetto della scrivania, prese una corda forte, con la quale era stato legato un pacco di libri. Egli, allora, non credette più che si sarebbe ammazzato! Perciò salì sopra uno sgabello e provò, ficcandoci il manico del martello dentro, se un gancio alla trave veniva via. Era proprio sicuro che non si sarebbe ammazzato! Ci legò la fune, a nodo scorsoio. Poi, ridiscese dallo sgabello e si mise a guardarla da tutte le parti; sentendo la voglia di sorridere. La guardava scherzando; ma pensò di toglierla perché aveva paura che le avrebbe dato retta, mettendoci il collo dentro. Egli delirando le parlava, perché non lo tentasse. Ma non osava più toccarla. Egli disse: «La lascerò qui per sempre. Perché si veda a che punto mi sono ridotto.» Era ormai come un pazzo; e appuntellò la porta per paura che venisse un branco di gente a buttarla giù. Non dovevano tardare molto. Li sentiva venire, da tutte le parti. Non c'era più modo di resistere: i puntelli saltavano via. Su la cassapanca, tutti quegli oggetti falsamente antichi gli dissero: «Tu sei eguale a noi! È inutile che tu cerchi d'evitarci!» Egli rispose a voce alta: «Aspettate, faccio una firma.» E vide la sua firma falsa saltellare sul pavimento. Si chinò per chiapparla; entrò con la testa sotto gli scaffali: la firma c'era, ma egli non la vedeva più. «Guardate: in mano non ce l'ho!» Allora, spense la luce. E, al buio, senza rendersi conto che si ammazzava, mise la testa dentro il laccio. Sentendosi stringere, avrebbe voluto gridare; ma non gli riescì.»

da Le Tre croci

Nota:
Scrittore che fatica ad entrare in un canone, FedericoTozzi può essere considerato il “fratello terzo della cultura del novecento” (DeBenedetti), accanto a Svevo e Pirandello. Artefice del rinnovamento del romanzo a livello strutturale, concettuale e tematico, Tozzi mette in scena la crisi del personaggio uomo, in cui il reale viene subito: nelle sue opere la vita scorre come su un canale parallelo. I suoi romanzi, dalle atmosfere cupe e da risvolti a volte molto crudi, hanno una profonda matrice freudiana. A causa del suo essere, nonostante tutto, scrittore di provincia, radicato nella sua Siena, egli rimane poco conosciuto, oscurato da tendenze molto più accattivanti del primo '900 (futuristi, teatro pirandelliano, caso-Svevo ecc.). Inoltre egli è senza dubbio un autore per niente accattivante, vista la difficoltà di lettura della sua prosa. Un freudismo consapevole fa da sfondo ai suoi capolavori, romanzi di formazione mancati (Con gli occhi chiusi, Il podere, e Le tre croci), caratterizzati da una dimensione onirica pervasiva e da personaggi costituzionalmente destinati all'inettitudine. Tozzi raggiunge la popolarità solo nel 1920, quando Borgese giudica Le tre croci come un vero capolavoro. Ma egli non riesce a godere di questo successo: muore qualche mese dopo di polmonite, lasciando le sue opere per lo più inedite o spare per riviste. Sarà il figlio a mettere un po' d'ordine nella sua produzione, consacrando l'opera del padre al panorama letterario italiano.

(rb)

Buon Compleanno Lorenzo De' Medici (01/01/1449)



Canzona de' sette pianeti

Sette pianeti siam, che l’alte sede
lasciam per far del cielo in terra fede.

Da noi son tutti i beni e tutti i mali,
quel che v’affligge miseri, e vi giova;
ciò ch’agli uomini avviene, agli animali
e piante e pietre, convien da noi muova:
sforziam chi tenta contro a noi far pruova;
conduciam dolcemente chi ci crede.

Maninconici, miseri e sottili;
ricchi, onorati, buon’ prelati e gravi;
sùbiti, impazïenti, fèr’, virili;
pomposi re, musici illustri, e savi;
astuti parlator’, bugiardi e pravi;
ogni vil opra alfin da noi procede.

Venere grazïosa, chiara e bella
muove nel core amore e gentilezza:
chi tocca il foco della dolce stella,
convien sempre arda dell’altrui bellezza:
fère, uccelli e pesci hanno dolcezza:
per questa il mondo rinnovar si vede.

Orsù! seguiam questa stella benigna,
o donne vaghe, o giovinetti adorni:
tutti vi chiama la bella Ciprigna
a spender lietamente i vostri giorni,
senz’aspettar che ’l dolce tempo torni,
ché, come fugge un tratto, mai non riede.

Il dolce tempo ancor tutti c’invita
lasciare i pensier’ tristi e’ van’ dolori:
mentre che dura questa brieve vita,
ciascun s’allegri, ciascun s’innamori.
Contentisi chi può: ricchezze e onori
per chi non si contenta, invan si chiede.


Da Canzona de’ visi addrieto

Le cose al contrario vanno
tutte, pensa a ciò che vuoi:
come il gambero andiam noi,
per far come l’altre fanno.

E’ bisogna oggi portare
gli occhi drieto e non davanti;
né così possi un guardare:
traditor’ siam tutti quanti;
tristo a chi crede a’ sembianti,
ché riceve spesso inganno.

Da Canti Carnascialeschi

Nota:
Conosciuto come Lorenzo il Magnifico, coniuga in sé l’uomo politico e l’uomo letterato ricevendo le influenze più disparate e mette la cultura in stretto rapporto con il potere diventando uno dei protagonisti dell’Umanesimo. Si cimenta in diversi generi, rivalutando la tradizione volgare fiorentina.

(as)