venerdì 1 gennaio 2010

Buon Compleanno Federigo Tozzi (01/01/1883)


«Ecco la sera, quando le cose della stanza doventano pugnali che affondano nella mia anima; maniche che mi attendono. Qualche altra volta mi erano sembrate – libri, tavoli, sedie, tagliacarte, cuscini, lampade, pareti – poemi immensi. Mai, in nessun modo, sono riescito ad essere indipendente dinanzi a loro. »

«Ma Giulio era restato come ebbro; e aveva una specie di gaudio amaro. Dentro di lui sentiva moversi come una quantità di cose parassite e malvagie; che volevano prendere il sopravvento. I suoi stati di coscienza si erano solidificati l'uno vicino all'altro, ma irriducibilmente; ed egli tentava in vano di metterli d'accordo e di spiegarli con un solo mezzo. Non si sentiva più libero e comprendeva che la coscienza quotidiana si era inspirata non ai suoi sentimenti, sempre mobili, ma a certe invariabilità; alle quali, forse, quei sentimenti si erano sempre attaccati. Ora, anche il desiderio di morire era invariabile. Non gli parve necessario rivedere quelli della sua famiglia; perché credeva che dovesse restare più solo che fosse possibile; come un dovere. Egli, in quel momento, non poteva avere più nessun affetto per loro; e, quando fu alla libreria, ne aprì la porta come se andasse a conoscere la realtà del suo sentimento.[...] e, dal cassetto della scrivania, prese una corda forte, con la quale era stato legato un pacco di libri. Egli, allora, non credette più che si sarebbe ammazzato! Perciò salì sopra uno sgabello e provò, ficcandoci il manico del martello dentro, se un gancio alla trave veniva via. Era proprio sicuro che non si sarebbe ammazzato! Ci legò la fune, a nodo scorsoio. Poi, ridiscese dallo sgabello e si mise a guardarla da tutte le parti; sentendo la voglia di sorridere. La guardava scherzando; ma pensò di toglierla perché aveva paura che le avrebbe dato retta, mettendoci il collo dentro. Egli delirando le parlava, perché non lo tentasse. Ma non osava più toccarla. Egli disse: «La lascerò qui per sempre. Perché si veda a che punto mi sono ridotto.» Era ormai come un pazzo; e appuntellò la porta per paura che venisse un branco di gente a buttarla giù. Non dovevano tardare molto. Li sentiva venire, da tutte le parti. Non c'era più modo di resistere: i puntelli saltavano via. Su la cassapanca, tutti quegli oggetti falsamente antichi gli dissero: «Tu sei eguale a noi! È inutile che tu cerchi d'evitarci!» Egli rispose a voce alta: «Aspettate, faccio una firma.» E vide la sua firma falsa saltellare sul pavimento. Si chinò per chiapparla; entrò con la testa sotto gli scaffali: la firma c'era, ma egli non la vedeva più. «Guardate: in mano non ce l'ho!» Allora, spense la luce. E, al buio, senza rendersi conto che si ammazzava, mise la testa dentro il laccio. Sentendosi stringere, avrebbe voluto gridare; ma non gli riescì.»

da Le Tre croci

Nota:
Scrittore che fatica ad entrare in un canone, FedericoTozzi può essere considerato il “fratello terzo della cultura del novecento” (DeBenedetti), accanto a Svevo e Pirandello. Artefice del rinnovamento del romanzo a livello strutturale, concettuale e tematico, Tozzi mette in scena la crisi del personaggio uomo, in cui il reale viene subito: nelle sue opere la vita scorre come su un canale parallelo. I suoi romanzi, dalle atmosfere cupe e da risvolti a volte molto crudi, hanno una profonda matrice freudiana. A causa del suo essere, nonostante tutto, scrittore di provincia, radicato nella sua Siena, egli rimane poco conosciuto, oscurato da tendenze molto più accattivanti del primo '900 (futuristi, teatro pirandelliano, caso-Svevo ecc.). Inoltre egli è senza dubbio un autore per niente accattivante, vista la difficoltà di lettura della sua prosa. Un freudismo consapevole fa da sfondo ai suoi capolavori, romanzi di formazione mancati (Con gli occhi chiusi, Il podere, e Le tre croci), caratterizzati da una dimensione onirica pervasiva e da personaggi costituzionalmente destinati all'inettitudine. Tozzi raggiunge la popolarità solo nel 1920, quando Borgese giudica Le tre croci come un vero capolavoro. Ma egli non riesce a godere di questo successo: muore qualche mese dopo di polmonite, lasciando le sue opere per lo più inedite o spare per riviste. Sarà il figlio a mettere un po' d'ordine nella sua produzione, consacrando l'opera del padre al panorama letterario italiano.

(rb)

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