domenica 3 gennaio 2010

Buon Compleanno Marco Tullio Cicerone (03/01/106 a.C.)




«Infatti, che cos’altro noi facciamo quando dal piacere, cioè dal corpo, dalla cura dei beni materiali che sono strumento e servizio del corpo, dalle occupazioni della vita pubblica, da ogni impegno, stacchiamo l’animo, che cosa, dico, allora facciamo, se non richiamare l’animo alla propria interiorità e lo costringiamo a stare con se stesso, e lo traiamo via il più possibile dal corpo? D’altro canto staccare l’animo che cosa altro mai è se non imparare a morire?»

Da Tusculanae disputationes, I, 31,75; a cura di Giulia Colomba Sannia

«Quindi (il potere) o deve essere dato a uno solo, o ad alcuni uomini scelti, o deve essere assunto dalla massa e da tutti. Perciò, quando il sommo potere è nelle mani di uno solo, chiamiamo re quello solo, e regno quella forma di governo. Quando, invece, è nelle mani di cittadini scelti, allora si dice che quella città è governata dal potere degli aristocratici. È, invece, la democrazia – così, infatti, la chiamano – quella in cui tutti i poteri sono del popolo. E qualsiasi di questi tre generi, anche se conservasse quel vincolo che all’inizio ha stretto tra loro gli uomini in società politica, non sarebbe stato perfetto certo, né, a mio parere, ottimo, ma solo tollerabile, tanto che uno potrebbe essere superiore all’altro. Infatti, sia (che governi) un re saggio, sia i cittadini scelti e riguardevoli, sia lo stesso popolo, benché questo sia il meno apprezzabile, comunque, se non intervengono iniquità e cupidigia, sembra possibile una certa stabilità. Ma, anche nei regimi monarchici, troppo esclusi sono gli altri dalle leggi e dalle decisioni, e nel dominio degli ottimati la massa può essere appena partecipe della libertà, dal momento che manca di potere deliberante comune, e quando tutte le decisioni sono prese da parte del popolo, quanto si voglia giusto e moderato, è proprio la stessa uguaglianza iniqua, dal momento che non implica alcuna gerarchia di potere. »

Dal De Republica I, 26,27; a cura di Giulia Colomba Sannia

«Quale canto puoi trovare più dolce di un armonioso discorso? Quale carme più tornito di un periodo ben congegnato? Quale attore è più piacevole, nell’imitare un caso reale, di quanto lo sia un oratore nel difenderlo? Che cosa c’è di più spiritoso di una serie di arguti pensieri? Che cosa c’è di più ammirevole di un argomento esposto con uno splendido linguaggio? Che cosa c’è di più completo di un discorso ricolmo dei più svariati concetti?... »

Dal De oratore, II, 34; trad. G. Norcio

«Come, se un membro del nostro corpo pensasse di poter essere sano e forte sottraendo per sé il vigore del membro vicino, necessariamente tutto il corpo si indebolirebbe e perirebbe, così, se ciascuno di noi si appropriasse dei beni altrui e carpisse a chiunque gli fosse possibile per il proprio vantaggio, inevitabilmente la società umana verrebbe annientata. Infatti, è consentito alla natura che ciascun essere umano preferisca procurar per sé anziché per altri quanto serve ai bisogni della vita, ma la natura non tollera assolutamente che noi accresciamo i nostri averi, agi e potenza con le spoglie degli altri.»

Dal De officiis, III, 22; a cura di Paolo Fedeli

Nota:

«Impegnato attivamente nella vita politica, fu il maggior oratore del suo tempo; se, fino ad allora, gloria e prestigio erano stati esclusivo appannaggio delle alte cariche militari, Cicerone invece li ottenne grazie alla sua abilità oratoria, che gli consentì di stabilire importanti legami con persone potenti che lo appoggiarono nell’ascesa politica.» (Davide Monda, Natascia Paggetti, Tania Vannini)

(as)

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