lunedì 2 novembre 2009

Buon Compleanno Georges Eugène Sorel (02/11/1847)


«Io non sono né professore, né volgarizzatore, né aspirante capo-partito; sono un autodidatta che presenta a qualche lettore i quaderni che hanno servito alla mia personale istruzione. Ed è perciò che le regole dell’arte non mi hanno mai interessato molto. Vent’anni ho lavorato per liberarmi di quanto avevo ritenuto della mia educazione; ho condotto la mia curiosità attraverso i libri, non tanto per imparare quanto per ripulire la memoria di quelle idee che le erano state imposte. Da una quindicina d’anni lavoro veramente per imparare; ma non ho trovato nessuno che mi insegnasse quello che volevo sapere; ho dovuto essere il maestro di me stesso e, in qualche modo, fare una classe per conto mio.

La comunicazione del pensiero è sempre molto difficile per chi abbia delle gravi preoccupazioni metafisiche: si crede che il discorso possa guastare le parti più profonde del pensiero, quelle più vicine al centro motore, quelle che sembrando tanto più naturali non si cerca mai di esprimere. Il lettore deve penare molto per cogliere il pensiero del suo autore, dato che non può pervenire a esso se non ritrovando la via da questi percorsa. La comunicazione verbale è molto più facile di quella scritta, perché la parola agisce sui sentimenti in maniera misteriosa e stabilisce facilmente tra le persone un’unione simpatetica; è così che un oratore può convincere per mezzo di argomenti che, a colui che più tardi legga il suo discorso, sembrano di difficile comprensione.

C’è nel mondo una necessaria divisione di compiti: è bene che alcuni si dilettino a lavorare per sottomettere le loro riflessioni a chi dimostri spirito meditativo, mentre altri amano rivolgersi alla grande massa delle persone frettolose. Insomma non trovo che la mia parte sia la peggiore: poiché non corro il rischio di diventare il discepolo di me stesso, come è successo ai più grandi filosofi allorquando si sono condannati a dare una forma perfettamente regolare alle intuizioni che avevano apportato al mondo.

C’è probabilmente nell’anima di ogni uomo un fuoco metafisico che riposa nascosto sotto la cenere e che tanto più minaccia di estinguersi quanto più lo spirito ha ciecamente ricevuto una dose maggiore di dottrine bell’e fatte; l’evocatore è colui che rimuove le ceneri e fa sprigionare la fiamma.

Ottenere un tale risultato vale assai più che accogliere l’approvazione banale di coloro che sono ripetitori di formule o che riducono il loro pensiero al servizio delle dispute di scuola.

In politica l’ottimista è un uomo incostante e anche pericoloso, perché non si rende conto delle grandi difficoltà che i suoi progetti presentano; questi gli sembrano possedere una forza propria tale da condurli in porto tanto più facilmente in quanto, nel suo spirito, essi sono destinati a rendere felici un maggior numero di persone.

L’ottimista passa assai facilmente dalla collera rivoluzionaria al più ridicolo pacifismo sociale. Se dotato di un temperamento esaltato e se, per disgrazia, in possesso di un grande potere, tale da metterlo in grado di realizzare l’ideale che si è costruito, l’ottimista può condurre il suo paese alle peggiori catastrofi.


Ciò che vi è di più profondo nel pessimismo, è il modo di concepire la progressione verso la redenzione. L’uomo non andrebbe molto lontano nell’esame delle leggi della sua miseria, come della fatalità, le quali tanto turbano l’ingenuità del nostro orgoglio, se non avesse la speranza di venire a capo di queste tirannie per mezzo di un sforzo da tentarsi con tutto un gruppo di compagni.

Per l’intellettualista le religioni costituiscono uno scandalo particolarmente grave, perché egli è incapace sia di considerarle prive di portata storica, sia di spiegarle.

Per molto tempo il socialismo non è stato altro che un’utopia: è con ragione che i marxisti rivendicano per il loro maestro l’onore di aver mutato tale situazione: il socialismo è divenuto una preparazione delle masse impiegate dalla grande industria, le quali vogliono sopprimere lo Stato e la società; d’ora in avanti il modo in cui gli uomini si adopreranno per godere la felicità futura non sarà più oggetto di ricerca; tutto si riduce all’apprendistato rivoluzionario del proletariato.»

Da Lettera a Daniel Halévy del 15 luglio 1907



Nota:
George Sorel è considerato il padre del sindacalismo rivoluzionario per le sue posizioni in merito all’autonomia del sindacato rispetto al partito e quindi al ruolo essenziale delle organizzazioni dei lavoratori nell’ambito della lotta di classe. Le sue tesi, essenzialmente antielitarie, si distaccavano dall’idea ai avanguardia rivoluzionaria, propugnata dal marxismo, intesa come manipolo di uomini che avrebbero dovuto guidare il proletariato alla vittoria sulla borghesia. L’idea soreliana si basa sull’acquisizione della coscienza di classe che si forma durante il progressivo e quotidiano lavoro dei protagonisti, come ad esempio la strutturazione e la gestione dello sciopero, che rappresenta la fucina dei rivoluzionari. Il principio dell’autonomia operaia di Sorel, partendo da concezioni tipicamente antiborghesi e antiparlamentari, ebbe parecchio seguito nel pensiero di tutti i cosiddetti rivoluzionari di professione.

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