giovedì 12 novembre 2009

Buon Compleanno Roland Barthes (12/11/1915)


«Davanti all’obbiettivo, io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede che io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte.


La Fotografia rappresenta quel particolarissimo momento in cui, a dire il vero, non sono né un oggetto né un soggetto, ma piuttosto un soggetto che si sente diventare oggetto: in quel momento io vivo una micro-esperienza della morte: io divento veramente spettro.


In sé, la foto non è affatto animata (io non credo alle foto “vive”), però essa mi anima: e questo è appunto ciò che fa ogni avventura.


In fondo – o al limite – per vedere bene una fotografia, è meglio alzare la testa o chiudere gli occhi.


Forse che al cinema io aggiungo qualcosa all’immagine? – Non credo; non ne ho il tempo: davanti allo schermo non sono libero di chiudere gli occhi, perché altrimenti, riaprendoli, non troverei più la stessa immagine; io sono costretto a una voracità continua; un gran numero di altre qualità, ma nessuna pensosità; di qui, il mio interesse per il fotogramma.


…la fotografia potrebbe forse corrispondere all’irruzione, nella nostra società moderna, di una Morte simbolica, al di fuori della religione, al di fuori del rituale: una specie di repentino tuffo nella Morte letterale. La Vita/ La Morte: il paradigma si riduce a un semplice scatto: quello che separa la posa iniziale dal rettangolo di carta finale.
Con la Fotografia, entriamo nella Morte piatta.»


Da La camera chiara, Nota sulla fotografia



«Come geloso, io soffro quattro volte: perché sono geloso, perché mi rimprovero d’esserlo, perché temo che la mia gelosia finisca col ferire l’altro, perché mi lascio soggiogare da una banalità: soffro di essere escluso, di essere aggressivo, di essere pazzo e di essere come tutti gli altri.


Io sono prigioniero di questa contraddizione: da una parte, credo di conoscere l’altro meglio di chiunque altro e glielo dico trionfalmente (“Io sì che ti conosco! Solo io ti conosco veramente!”); e dall’altra, sono spesso colpito da questa evidenza: l’altro è impenetrabile, sgusciante, intrattabile; non posso smontarlo, risalire alla sua origine, sciogliere il suo enigma. Da dove viene? Chi è? Mi esaurisco in sforzi inutili: non lo saprò mai.

Io sono troppo grande e al tempo stesso troppo debole per la scrittura: io le sto vicino, ma essa è sempre avara, violenta, indifferente all’io infantile che la sollecita.»


Da Frammenti di un discorso amoroso



Nota:
«Tra i primi dettagli che si seppero dell’investimento del 25 febbraio all’incrocio tra Rue des Ecoles e Rue Saint-Jacques ci fu quello che Roland Barthes era rimasto sfigurato, tanto che nessuno, lì a due passi dal Collège de France, aveva potuto riconoscerlo…(…). Il 28 marzo, nella bara, invece, il suo volto non era affatto sfigurato: era lui come tante volte l’avevo incontrato per quelle vie del Quartiere con la sigaretta pendente a un angolo della bocca, al modo di chi è stato giovane prima della guerra…

La discussione critica su di lui – già incominciata – sarà tra i sostenitori della superiorità dell’uno o dell’altro Barthes: quello che subordinava tutto al rigore di un metodo e quello che aveva come unico criterio sicuro il piacere (piacere dell’intelligenza e intelligenza del piacere). La verità è che quei due Barthes non sono che uno: e nella compresenza continua e variamente dosata dei due aspetti sta il segreto del fascino che la sua mente ha esercitato su molti di noi.

….ma il punto vero per cui (Greimas) dissentiva dai necrologi dei giornali era il loro cercare di definire in categorie professionali come filosofo o scrittore un uomo che sfuggiva a tutte le classificazioni perché tutto quello che aveva fatto nella sua vita, l’aveva fatto per amore.»

Da Italo Calvino In memoria di Roland Barthes, Collezione di sabbia

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