sabato 5 dicembre 2009

Buon Compleanno John Berger (05/12/1926)


«Il mio cuore nudo alla nascita
era fasciato di ninnenanne.
Più tardi da solo si è vestito
di poesie.
Come camicia
ho portato sul dorso
la poesia che avevo letto.

Così ho vissuto per mezzo secolo
finché privi di parole ci siamo incontrati.

Dalla camicia sullo schienale della seggiola
scopro stanotte
per quanti anni
di studio a memoria
ti ho aspettata.»

«Che la poesia possa utilizzare le stesse parole di un rapporto aziendale non ha più significato del fatto che un faro e la cella di una prigione possano essere costruiti con le pietre di una stessa cava, legate dalla stessa malta. Tutto dipende dalla relazione tra le parole. E la somma totale di tutte queste possibili relazioni dipende da come lo scrittore si rapporta al linguaggio, non come vocabolario, non come sintassi, e neppure come struttura, ma come principio e presenza.»

«Ciò che più di ogni altra cosa mi riconcilia con la mia stessa morte è l’immagine di un luogo: un luogo dove le tue ossa e le mie sono sepolte, gettate, messe a nudo, insieme. Vi sono disseminate alla rinfusa. Una delle tue costole poggia contro il mio cranio. Un metacarpo della mia mano sinistra si trova all’interno del tuo bacino. (Contro le mie costole spezzate il tuo seno simile a un fiore.) Le cento ossa dei nostri piedi sono sparpagliate come ghiaia. È strano che questa immagine della nostra prossimità, pur parlando di semplice fosfato di calcio, debba procurarmi un senso di pace. Eppure è così. Con te riesco a immaginare un luogo dove essere fosfato di calcio mi basta.»

«Noi con la nostra lingua vagabonda
noi con i nostri incorreggibili accenti
e una parola diversa per dire latte
noi che veniamo in treno
e ci abbracciamo sulle banchine
noi e i nostri carri merci
noi la cui voce è in nostra assenza
incorniciata sulla parete di una camera da letto
noi che abbiamo in comune tutto
e niente –
questo niente che spezziamo in due
e mandiamo giù con un sorso
dalla stessa bottiglia,
noi a cui il cuculo
ha insegnato a contare,
in quale valuta
hanno cambiato il nostro canto?
Nei nostri letti solitari
che ne sappiamo noi di poesia?»

Da E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto Trad. e cura di Maria Nadotti, 2008, Mondadori


Nota:
Noto in tutto il mondo come critico d’arte, poeta, giornalista, romanziere, sceneggiatore cinematografico, autore teatrale, disegnatore e pittore.

«Sì, a volte penso che in un mondo più giusto, starei solo a disegnare o dipingere. Oggi questo è impossibile per me, anche se può cambiare. Ma forse la chiave è questa: fino ai 30 anni ero un pittore. In quel momento decisi di smettere di dipingere. Perché? Non perché non mi piacesse dipingere, né perché pensassi di non aver talento. Ma eravamo alla fine degli anni ’50, e quello che stava succedendo nel mondo era talmente urgente – la Guerra fredda, la minaccia di una Terza guerra mondiale – che sentì di dover fare qualcosa di più diretto per intervenire. Così iniziai a scrivere per i giornali. Col passare del tempo, scrivere si trasformò in qualcosa di più per me, non solo un’urgenza politica, ma non tornai a dipingere.»

Da un’intervista (traduzione a cura di Asterischi)

È sempre stato un attento osservatore della realtà, dei modi di rappresentarla. È anche un intellettuale molti sensibile alle tante ingiustizie che si consumano nel mondo, critico delle dinamiche sociali e politiche della globalizzazione.

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