martedì 1 dicembre 2009

Buon Compleanno Daniel Pennac (1/12/1944)




«Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”…il verbo “sognare”…
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: “Amami!” “Sogna!” “Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!”
“Sali in camera tua e leggi!”
Risultato?
Niente.
Si è addormentato sul libro.»

«A ripensarci in quest’inizio di insonnia, il rituale della lettura, ogni sera, ai piedi del suo letto, quando era piccolo – orario fisso e gesti immutabili – aveva qualcosa della preghiera. Quell’improvviso armistizio dopo il frastuono della giornata, quell’incontro al di là di ogni contingenza, quel momento di silenzio raccolto che precede le prime parole del racconto, la vostra voce finalmente identica a se stessa, la liturgia degli episodi… Sì, la storia letta ogni sera assolveva la più bella funzione della preghiera, la più disinteressata, la meno speculativa, e che concerne solamente gli uomini: il perdono delle offese. Non confessavamo nessun peccato, non cercavamo di conquistarci nessuna fetta di eternità, era un momento di comunione, tra di noi, l’assoluzione del testo, un ritorno all’unico paradiso che valga: l’intimità. Senza saperlo, scoprivamo una delle funzioni essenziali del racconto e più in generale dell’arte, che è quella di imporre una tregua alla lotta degli uomini.
L’amore ne usciva risanato.
Era gratis »

«L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire. Non gli offre alcuna spiegazione definitiva sul suo destino ma intreccia una rete di connivenze tra la vita e lui. Piccolissime, segrete connivenze che dicono la paradossale felicità di vivere, nel momento stesso in cui illuminano la tragica assurdità della vita. Cosicché le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere. E nessuno è autorizzato a chiederci conto di questa intimità.»

Da Come un romanzo, 1992


«Se solo uno pensa alla necessaria solitudine… Le lunghe pause del dubbio…E quei momenti di felicità così gratuiti…
Sorriso sognante:
O la felicità dell’alba, i giorni in cui l’idea ti fa saltar giù dal letto… Perché non è il gallo a svegliarti, né il camion della spazzatura… Non è neppure la prospettiva del premio o l’ambizione di lasciare una traccia… È l’urgenza di quel piccolo tocco di scalpello a cui pensavi quando ti sei addormentato…quella pennellata di ocra rosso all’angolo destra della tua tela, lassù in cima…Ecco cosa ti fa saltar giù dal letto! Il suono inebriante di una nota, che cambierà tutto…un nonnulla in punta di penna, forse una virgola, una semplice virgola…una sfumatura essenziale…il minuscolo dell’opera…una cosa da niente…solo la necessità…Dio mio, la bellezza di quelle mattine necessarie, nella casa addormentata…»

Da Grazie, 2004

Nota:

vero nome Daniel Pennacchioni. All'età di 28 anni inizia a insegnare, lavoro che lo appassionerà da subito e che tutt'oggi continua a svolgere, sia in un liceo parigino che in una scuola per bimbi disadattati.

«Il fatto è che io andavo male a scuola e da questo lei non si è mai più ripresa. Oggi che la sua coscienza di donna molto anziana abbandona i lidi del presente per rifluire piano verso i lontani arcipelaghi della memoria, i primi scogli che affiorano le rammentano l’ansia che la tormentò per tutta la mia carriera scolastica.

Mi rivolge uno sguardo preoccupato, e lentamente:

“Che cosa fai nella vita?”.
Il mio avvenire le parve da subito talmente compromesso che non è mai stata davvero sicura del mio presente. Poiché non ero destinato, non le parevo equipaggiato per durare. Ero il suo figlio precario. Eppure sapeva che ce l’avevo fatta da quando nel settembre del 1969 ero entrato nella mia prima classe in qualità di professore. Ma nei decenni che seguirono (cioè per tutta la durata della mia vita adulta), la sua ansia resistette a tutte le “dimostrazioni di successo” che le portavano le mie telefonate, le mie lettere, le mie visite, la pubblicazione dei miei libri, gli articoli di giornale o le mie apparizioni nei programmi culturali della tivù. Né la stabilità della mia vita professionale né il riconoscimento del mio lavoro letterario, nulla di ciò che sentiva dire su me da terzi o che poteva leggere sui giornali era in grado di rassicurarla del tutto.»

Da Diario di scuola, 2007

I suoi romanzi si distinguono per una particolare propensione per storie comiche, surreali ma ben radicate nelle contraddizioni del nostro tempo.

Ha vinto nel 2002 il prestigioso Premio Internazionale Grinzane Cavour “Una vita per la Letteratura”.

«- E IL VINCITORE È…
Agita il risultato fittizio strappato alla busta fittizia, la sua voce si abbassa di colpo:
- Io.
Il braccio gli ricade pesantemente, il corpo si affloscia un po’, sembra prostrato… Poi si scuote come se si risvegliasse. Si accorge della nostra presenza.
- Scusatemi.
Ancora qualche secondo per tornare pienamente cosciente.
Sciorina quello che segue in tono monocorde:
- Anche per il premiato non c’è questa varietà di soluzioni. Può esplodere di gioia balzando in piedi dalla poltrona, urlare la sua vittoria levando i pugni di fronte alla posterità: “Sììììì, sono io! Iooooooo!”. Può subito scusarsi con il candidato sfortunato più vicino, bisbigliandogli: “Ebbene sì, sono io, vecchio mio, vecchia mia, sono io, cosa vuoi che ti dica, la prossima volta toccherà a te, è andata ancora di lusso che non sia quello sfigato di…guarda che faccia fa, consolati”. Può fingere il più completo stupore lanciando intorno a sé occhiate allibite: “Cosa? Io? Ma proprio non me l’aspettavo! Con tutti questi talent’inlizza… No, ma è uno scherzo? Davvero? Che sorpresa!”.
Alza gli occhi al cielo:
- Sorpresa un corno! A me, in ogni caso…
Cenno del capo verso la giuria:
- A me hanno avvertito prima! Anzi, era la conditio sine qua non dell’assegnazione del premio: dovevo venire a ritirarlo di persona. Altrimenti me ne sarei rimasto a casa, figuriamoci. Un assegno si può spedire per posta! Invece no, presenza obbligatoria…
Altrimenti, lo rifilavano a qualcun altro, il premio. E quindi, l’assegno. Per questo mi sono allenato…»

Da Grazie, 2004

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